Sono veramente gli imballaggi i colpevoli dell’inquinamento marino da plastica? Per trovare delle soluzioni bisogna trovare le cause reali.

Quando si parla di inquinamento marino da plastica, l’attenzione si concentra esclusivamente sugli imballaggi e sui rifiuti monouso, anche perché da anni ormai i mezzi di comunicazione, tra cui i social network, ce l’hanno fatto credere, facendo erroneamente dell’imballaggio il primo imputato nella dispersione dei rifiuti.

Un recente studio, invece, presenta uno scenario nuovo e ben diverso che individua quale principale responsabile dell’inquinamento marino da plastica, il settore della pesca industriale. Le attrezzature da pesca perdute o abbandonate in mare, conosciute come “ghost gear” (attrezzature fantasma), rappresentano una grave minaccia per gli ecosistemi marini.

Secondo lo studio Lost Fishing Gear is a Key Contributor to Ocean Plastic Pollution condotto dall’Università  UCSB – California, Santa Barbara – oltre 4,5 milioni di pescherecci operano ogni anno nelle acque oceaniche, utilizzando attrezzature come reti, trappole, ami e lenze, spesso in plastica. Una parte significativa di queste attrezzature si perde in mare ogni anno, causando danni irreversibili alla vita marina. I ricercatori stimano che annualmente oltre 100 milioni di chili di attrezzature da pesca inquinino gli oceani. Questo significa che gran parte dell’inquinamento plastico marino proviene da attrezzature che non vengono recuperate.

L’impatto devastante delle attrezzature fantasma

Le attrezzature fantasma rappresentano una minaccia per la fauna marina. Le reti e gli attrezzi abbandonati catturano pesci, tartarughe, delfini e altre creature marine, contribuendo alla cosiddetta “pesca fantasma”, una forma invisibile ma devastante di pesca che minaccia la biodiversità marina. Questi attrezzi danneggiano gli ecosistemi per decenni.

Come sottolinea uno studio condotto in Brasile, il principale effetto diretto della pesca fantasma è la mortalità degli organismi che rimangono impigliati nelle reti da pesca. Gli effetti indiretti della pesca fantasma includono infatti le catture accumulate: gli organismi che rimangono intrappolati nelle reti abbandonate possono attirare altre specie, soprattutto detritivori, che a loro volta rimangono impigliati nell’attrezzo, dando vita a un processo noto come pesca ciclica.

L’effetto nefasto dell’inquinamento marino causato dalle attrezzature da pesca è stato evidenziato anche dalla Dottoressa J. Saturno della Memorial University of Newfoundland, che nel suo studio “Investigating the role of fishing gear on plastic pollution: The occurrence of fishing gear-related plastic ingested by Atlantic cod (Gadus morhua) and the fragmentation of polymer ropesha raccolto i tratti gastrointestinali (GI) di merluzzi atlantici (Gadus morhua) pescati a livello commerciale sull’isola di Fogo, a Terranova e Labrador, e li ha sezionati alla ricerca di plastiche ingerite. Due su tre oggetti di plastica ingeriti erano sacchetti per esche usati nelle nasse per merluzzi e il terzo era un filo come quello che si trova nelle corde da pesca, dimostrando ancora una volta come gli attrezzi da pesca siano una fonte d’inquinamento estremamente dannosa per la biodiversità marina.

Un problema su scala globale

Il problema delle attrezzature fantasma non è confinato a una sola regione ma è condiviso a livello globale. Uno studio del 2022, condotto da Laurent Lebreton e altri ricercatori, ha rivelato che tra il 75% e l’86% dell’inquinamento da plastica oceanica proviene dalle attività di pesca e acquacoltura. I ricercatori hanno analizzato oltre 6.000 detriti superiori a 5 cm, trovati nella Great Pacific Garbage Patch, di questi detriti il 99% era costituito da elementi rigidi in plastica, che rappresentavano il 90% della massa totale. La maggior parte di questi rifiuti era riconducibile a cinque nazioni industrializzate dedite alla pesca: Giappone, Cina, Corea del Sud, Stati Uniti e Taiwan, e proveniva da attrezzature utilizzate per la pesca e l’acquacoltura.

Conclusione

La pesca industriale e l’acquacoltura, con le loro attrezzature di plastica perse o abbandonate, sono tra i principali responsabili dell’inquinamento marino. Ridurre l’impatto di queste attività è essenziale per preservare la salute degli oceani e proteggere la biodiversità marina. Interventi come il recupero e il riciclo delle attrezzature da pesca, insieme a una maggiore responsabilità da parte degli operatori, sono dunque cruciali per salvaguardare il mare, anziché accanirsi, come di fatto sta avvenendo con specifici provvedimenti europei, con misure volte a limitare il packaging plastico, benchè, secondo i dati forniti in Italia da ISPRA, il recupero di rifiuti di imballaggi di plastica sia superiore da tempo al 95% dell’intero immesso al consumo.

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