Science Advances ha pubblicato uno studio sulle microfibre nelle acque oceaniche. Tradizionalmente ascritte alla famiglia delle “microplastiche”, la loro diffusa presenza nell’ambiente naturale è comunemente riportata negli studi sull’inquinamento da plastica, basati sul presupposto che le fibre derivino in gran parte dall’usura dei tessuti sintetici. La ricerca condotta su 916 campioni di acqua di mare raccolti in sei bacini oceanici, dimostra che, anche se i polimeri sintetici rappresentano attualmente due terzi della produzione globale di fibre, le fibre oceaniche sono composte principalmente da polimeri naturali. Solo l’8,2% delle fibre oceaniche sono sintetiche, mentre la maggior parte sono cellulosiche (79,5%) o di origine animale (12,3%). La diffusa presenza di fibre naturali in tutti gli ambienti marini sottolinea la necessità di identificare chimicamente le microfibre prima di classificarle come microplastiche. I risultati della ricerca evidenziano una notevole discrepanza tra la produzione globale di fibre sintetiche e l’attuale composizione delle fibre marine, una scoperta che chiaramente merita ulteriore attenzione.
L’80% delle fibre negli oceani sono cellulosiche
I tessuti con fibre naturali perdono più fibre durante i lavaggi
L’alta proporzione di fibre animali e vegetali in tutti gli oceani del mondo è inaspettata, data la dominanza delle fibre sintetiche nell’attuale produzione globale. Una spiegazione plausibile è che i tessuti di lana, cotone e rayon perdono e rilasciano più fibre del poliestere durante il lavaggio Tuttavia, un fattore cruciale da comprendere è la durata di vita dei diversi tipi di fibre nell’ambiente, data la dominanza storica dell’uso di fibre vegetali e animali nei tessuti. Nonostante siano considerate biodegradabili , si sa poco sulla degradazione della lana e delle fibre cellulosiche negli ambienti marini . I filati di rayon e cotone sono spesso lavorati, rifiniti, tinti e rivestiti con una vasta gamma di sostanze chimiche tra cui resine, ammorbidenti e ritardanti di fiamma, che possono rallentare notevolmente la loro rimineralizzazione , al punto che un gilet di cotone tinto recuperato da un naufragio in acque profonde non ha mostrato quasi alcun segno di degradazione dopo 133 anni di immersione. Insieme, questi fattori possono spiegare l’accumulo a lungo termine di fibre cellulosiche in ambienti marini.
L’uso di fibre naturali è stato sostenuto come una strategia per ridurre le immissioni e i rischi di microplastiche nell’ambiente. Tuttavia, le fibre animali e cellulosiche sono molto sottorappresentate nella letteratura sull’inquinamento ambientale. La ricerca sulla prevalenza, il destino e gli impatti delle microfibre è relativamente giovane e spesso sbilanciata a danno dei polimeri plastici. Sono quindi necessarie maggiori informazioni sulla degradazione delle fibre naturali rispetto ai polimeri sintetici.