Da anni la plastica è indicata come il nemico numero uno dell’ambiente e a sostegno di questa tesi si scrivono le cose più diverse, molte delle quali, a una attenta analisi, risultano molto ingigantite se non infondate.
È il caso delle microplastiche che si troverebbero ormai ovunque, anche all’interno del corpo umano e di questo si incolpano gli imballaggi in plastica. Ci sono però ricerche e studi scientifici che delineano un quadro più credibile e scagionano gli imballaggi in plastica che non contribuiscono alla creazione di microplastica. Quindi da dove arrivano tutte queste “microplastiche”? Andiamo ad analizzare come vengono calcolate le quantità corrette di microplastiche negli elementi analizzati e soprattutto quali particelle ne fanno parte.
Microplastiche: quante ne ingeriamo?
Secondo lo studio del WWF “No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People” ingeriamo ogni settimana circa 5 grammi di microplastica, l’equivalente di una carta di credito, ma la diffusione di questo dato ha indotto numerosi scienziati ad approfondire il tema facendo esplodere le pubblicazioni sull’argomento. Una di queste è stata fatta dai ricercatori dell’Università olandese di Wageningen che hanno compiuto uno studio per misurare la quantità di particelle di microplastiche rilevate in pesci, molluschi, crostacei, acqua corrente potabile oppure in bottiglia, birra, sale e aria per valutare quanta plastica effettivamente si ingerisce ogni giorno e quale sia il contributo dei vari cibi e bevande.
Il lavoro dei ricercatori olandesi ha portato a queste conclusioni:
Una persona di età inferiore a 18 anni, assume in media 553 particelle di microplastiche al giorno corrispondente a 184 nanogrammi, mentre un adulto ne ingerisce 883 corrispondenti a 583 nanogrammi. Questi valori si riferiscono all’assunzione di microplastiche, e sono quindi diversi dall’accumulo, perché una porzione viene espulsa attraverso le feci, ne consegue che: all’età di 18 anni una persona ha accumulato 6,4 nanogrammi di microplastiche, a 70 anni l’accumulo sarà pari a 40,7 nanogrammi. (0,0000004 gr) valore ben lontano dai 5 grammi citati nel report del WWF. Secondo lo studio dell’università di Wageningen quindi, le microplastiche ingerite sarebbero in larghissima misura espulse dal nostro organismo in modo fisiologico e la quantità accumulata nel corso della vita risulterebbe del tutto trascurabile.
Lo studio commissionato dal WWF non è purtroppo un caso isolato: la propensione al sensazionalismo, la demonizzazione delle plastiche basata su studi mal interpretati, su adesione acritica al pensiero dominante è diventata una pratica tristemente comune nei mezzi di comunicazione.
Le microplastiche non sono tutta plastica
Quando gli articoli allarmistici raccontano di microplastiche negli oceani, ci fanno subito pensare alla dispersione nei mari di vari oggetti in plastica che, rimanendo a lungo a contatto con l’acqua e il sale marino possono rilasciare micro frammenti. Non è però questa la realtà. La maggior parte delle microplastiche presenti nei mari è composta da microfibre, e non parliamo delle microfibre rilasciate dall’usura dei tessuti sintetici, ma di fibre di origine naturale.
Science Advances ha pubblicato uno studio sulle microfibre nelle acque oceaniche e la ricerca, condotta su 916 campioni di acqua di mare raccolti in sei bacini oceanici, dimostra che le fibre oceaniche sono composte principalmente da polimeri naturali. Infatti solo l’8,2% delle fibre oceaniche sono sintetiche, la maggior parte sono cellulosiche (79,5%) o di origine animale (12,3%). Questo è in accordo con studi recenti che mostrano che le fibre cellulosiche rappresentano più del 60-80% di tutte le fibre nei sedimenti del fondo del mare, negli organismi marini, nelle acque reflue, nell’acqua dolce e nelle fibre trasportate dall’aria.
Fino ad ora, le fibre cellulosiche (naturali e rigenerate) sono state incluse nel regno sintetico da centinaia di studi, gonfiando i conteggi delle “microplastiche”. Questo errore è derivato dal presupposto che tutte le fibre colorate siano sintetiche, anche in assenza di un’adeguata identificazione chimica, ma anche dal presupposto che le fibre cellulosiche artificiali possono essere considerate sintetiche e incluse nel conteggio delle microplastiche perché sono lavorate industrialmente.