Da tempo ormai la stampa riporta dati e notizie false sulla plastica rifacendosi a valutazioni del WWF. L’ultimo articolo sull’argomento apparso su uno dei principali quotidiani italiani, riporta una serie di inesattezze e luoghi comuni che ci sentiamo in dovere di smentire.
Il WWF ha pubblicato una “Guida di sopravvivenza per un futuro sostenibile dal titolo «Life in plastic, it’s not fantastic»”, rilanciando la denuncia portata avanti da tempo: siamo circondati dalla plastica, sostenendo il fatto che buona parte della plastica prodotta sia inutile e che una volta diventata rifiuto non venga riciclata.
La plastica è il materiale con il minore impatto ambientale
Una ricerca recentemente pubblicata dall’Imperial College, ha analizzato più di 70 valutazioni del ciclo di vita di materiali alternativi alla plastica, valutando gli impatti ambientali nel corso del loro ciclo di vita, compresi gli impatti derivanti dall’estrazione, dalla produzione, dalla logistica, dall’utilizzo e dalla gestione del fine vita incluso riciclo o smaltimento.
La conclusione è stata che la plastica può fornire le emissioni di carbonio più basse tra i materiali disponibili, a condizione che sia riciclata correttamente.
Per quanto riguarda il riciclo sappiamo che l’Italia è il Paese leader in Europa nell’economia circolare con l’83,4% di tutti i rifiuti che vengono riciclati. Gli imballaggi in plastica che finiscono in discarica sono soltanto il 5%, oltre il 56%% viene avviato a riciclo mentre la parte restante viene utilizzata per la produzione di energia e calore. Nel 2022 1,327 milioni di tonnellate di polimeri riciclati sono stati utilizzati per produrre nuovi oggetti con una crescita del +4,1% rispetto al 2021 e del +22,1% rispetto al 2020.
L’Italia è leader in Europa nel riciclo e nell’utilizzo di plastica riciclata per produrre nuovi prodotti avendo ampiamente superato gli obiettivi posti dall’Europa con la Circular Plastic Alliance, che persegue l’obiettivo di incorporare un milione di tonnellate di plastiche riciclate in nuovi prodotti entro il 2025.
La verità sulla plastica nei mari
L’articolo utilizza dati del WWF sulla dispersione di plastica nell’ambiente e in particolare negli oceani che non sono aggiornati e non tengono conto delle ricerche eseguite da istituzioni autorevoli.
La recente ricerca dell’Università di Utrecht, da sempre la più riconosciuta nella misurazione dell’inquinamento marino delle plastiche, stima un apporto di plastica negli oceani di circa 500 ktons all’anno (dato largamente inferiore agli 11 milioni di tonnellate riportati dal WWF) provenienti dalle coste (39-42%), dall’attività di pesca (45-48%) e dai fiumi (12-13%).
In precedenza i fiumi erano accreditati di un apporto fra 800 e 2700 ktons mentre ne apportano 57/69 ktons, dalle coste si stimava un’immissione fra 4800 e 12.700 ktons e invece risultano di 190/220 ktons (una differenza abissale), mentre la stima per la pesca – ritenuta responsabile di immettere 640 ktons – sarebbe pari a 220/240 ktons.
Lo stock di plastiche affondate dal 1950 ad oggi risulterebbe di 6,2 milioni di tons, che aggiunti ai 3 milioni di plastica galleggiante danno un totale di 9 milioni di tonnellate. Un valore ben diverso dai 150 milioni di tons (17 volte di più) precedentemente stimati.
La grande bufala dei 5 grammi di plastica
Infine l’articolo torna sul luogo comune dei 5 grammi di plastica ingerita a settimana da ogni essere umano. Una delle più autorevoli pubblicazioni sull’argomento è stata fatta dai ricercatori dell’Università olandese di Wageningen che hanno compiuto uno studio sulle quantità di microplastiche ingerite nel corso della vita di un essere umano.
Il lavoro dei ricercatori olandesi ha portato a queste conclusioni:
Un adulto ingerisce 883 particelle di microplastiche al giorno che sono corrispondenti a 583 nanogrammi. Questi valori si riferiscono solo all’assunzione di microplastiche, e sono quindi diversi dall’accumulo, perché la maggior parte viene espulsa attraverso le feci, ne consegue che: all’età di 70 anni una persona avrà accumulato 40,7 nanogrammi (0,0000004 gr) valore ben lontano dai 5 grammi citati nel report del WWF.
Un’ulteriore precisazione su questo argomento a questo punto sembra dovuta: la maggior parte delle microplastiche presenti nei mari, secondo uno studio di Science Advances, è composta da microfibre, e non parliamo solo delle microfibre rilasciate dall’usura dei tessuti sintetici, ma anche di fibre di origine naturale.
La guida pubblicata dal WWF, e il successivo articolo, non sono purtroppo un caso isolato: la propensione al sensazionalismo, la demonizzazione delle plastiche basata su studi mal interpretati, su adesione acritica al pensiero dominante è diventata una pratica tristemente comune nei mezzi di comunicazione. Ci auguriamo che le future campagne di misurazione della plastica trattino con maggiore attenzione i dati, anche per poter identificare provvedimenti davvero efficaci.