La plastica non si può abolire, è troppo preziosa: leggera, duttile, versatile, economica e soprattutto si può riciclare, trasformare in nuova materia prima per dare vita a nuovi oggetti. È noto però che per incivili comportamenti umani molti oggetti in questo materiale finiscono nei corsi d’acqua e nei mari.
Per risolvere questo problema si sta facendo molto: barriere cattura-rifiuti nei fiumi, navi spazzine che raccolgono plastica galleggiante nei mari, ed ora ci sono interessanti novità. La ricerca scientifica condotta da laboratori specializzati in bioingegneria in Giappone e negli Stati Uniti ha individuato batteri in grado di “mangiare” la plastica e, sulla base dei primi risultati incoraggianti, si sta lavorando per portare questa scoperta a un livello operativo.
L’utilizzo di batteri mangia plastica è anche l’obiettivo di un progetto dell’Università di Milano Bicocca finalizzato a rimuovere dai rifiuti organici contaminati da residui di imballaggi, quelle porzioni di plastica in polietilene che interferiscono con il processo di compostaggio. Si ricorre a batteri in grado di ‘’digerirla’’. Il progetto Micro-Val (Micro organismi per la Valorizzazione dei rifiuti della plastica) dovrebbe rappresentare il primo trattamento italiano di degradazione microbiologica della plastica a base di polietilene negli impianti di gestione dei rifiuti organici che non vengono correttamente differenziati all’origine.
Il riciclo rimane la soluzione per eccellenza per gestire il fine vita
Questi interessanti progetti riguardano le plastiche che sfuggono alla raccolta differenziata o alla raccolta corretta, ma la soluzione per eccellenza del fine vita della plastica è il riciclo. È noto che l’Italia è un paese virtuoso, tra i primi in Europa (ricicliamo il 47,3% degli imballaggi di plastica), che ricerca con costanza soluzioni sempre più improntate ai processi di economia circolare e al conseguente risparmio delle materie vergini.
Con l’R-PET, il polimero ottenuto dal riciclo del comune PET (Polietilene tereflatato) si producono da tempo bottiglie per le acque minerali e i soft drink, oltre a vaschette, fibre tessili e tanti altri oggetti.
Il processo virtuoso da “bottiglia a bottiglia” sta ora prendendo forma anche per le vaschette per ortofrutta grazie ad accordi fra produttori di imballaggi e canali distributivi. Pro Food, il gruppo merceologico interno a Federazione GommaPlastica che raccoglie aziende italiane produttrici di contenitori in materie plastiche destinati al confezionamento, alla distribuzione e al consumo di alimenti e bevande, è particolarmente attivo nella ricerca di soluzioni più innovative e sostenibili.
Ecodesign: progettare per un futuro più sostenibile
Basti pensare che in un decennio il peso medio di una bottiglia in PET è diminuito del 47,7%, che significa un enorme risparmio di materia vergine.
Tutto bene quindi nella gestione della plastica e del suo fine vita? Molto è stato fatto, ma molto si deve ancora fare. L’UE ha stabilito come obiettivo la quota del 70% di imballaggi recuperati entro il 2030*, ciò implica che anche la quota di rifiuti di imballaggi con struttura complessa inadatti a essere processati in modo meccanico (ma anche altri prodotti come tessuti e oggetti colorati) dovrà essere riciclabile. La ricerca di soluzioni, come l’utilizzo di materie plastiche omogenee tra di loro e quindi facilmente riciclabili va avanti, ma in parallelo a questo filone di ricerca si studiano nuove tecniche di riciclo chimico che riportino anche le molecole dei rifiuti plastici complessi al loro stato originale.
L’obiettivo, dunque, non può essere l’abolizione di un prezioso e in molti casi insostituibile materiale, che – va detto – nelle analisi di LCA (studio degli impatti ambientali di tutte le fasi di vita di un prodotto) risulta molto più sostenibile di altre materie, ma di neutralizzare gli effetti indesiderati nella fase finale di smaltimento dei rifiuti.
*Direttive Europee “Pacchetto economia circolare”